sabato 17 aprile 2010

Primavera è per tutti

Una finestra è sempre una finestra, che appartenga ad un grattacielo o ad una casupola in riva al mare.
Forse cambiano la vista e i sentimenti di chi sbircia da dietro le tende, ma una finestra è sempre una finestra: uno spiraglio del mondo esterno che ci illude con un’offerta di libertà che non otterremo mai veramente.
Siamo troppo schiavi della routine, della sicurezza delle nostre vite per anche solo pensare di ricominciare da zero, di cambiare.
Sei diventato un filosofo da quando non hai altro da fare, ma non te ne accorgi neanche, troppo occupato a dare un’occhiata al cielo che va rischiarandosi, un’alba acerba e stinta che invade lentamente la tua angusta, sconfortante cella.
Oggi è un giorno speciale. Avrebbe dovuto esserlo, perlomeno, perché tuo figlio compie sei anni. Tu però non festeggerai con lui.
Ti gratti il mento, le dita affondato nella barba sfatta soddisfacendo il prurito crescente di malavoglia, con distratta inquietudine, rotta da un improvviso e lieve bussare alla porta stagna che amplifica fastidiosamente il rumore; eppure sei sull’attenti, perché quegli amebe bestiali dei carcerieri quella delicatezza di gestualità te la mostrano giusto in cartolina, e forse nemmeno lì.

‘Davvero qui c’è il mio papà?’

La voce giovane, fresca e screziata di velata innocenza ha un effetto peggiore di quello di un elettroshock e per la fretta di alzarti quasi crolli per terra, inciampando nell’aria e nelle stringhe slacciate degli anfibi logori e sporchi, gli stessi da sei mesi, i piedi che non sembrano avere voglia di infilare un passo dopo il precedente, evidentemente scarsamente vogliosi di collaborare.
Con un cigolio l’uscio si apre e un caschetto biondo platino e liscio fa capolino da dietro lo stipite, due occhi sgranati per lo stupore che ti inchiodano impietosamente, un bel sorriso sulle labbra sottili che riempie le gote, gonfiando i lineamenti morbidi di quel viso che credevi avresti fatto in tempo a dimenticare prima di rivederlo.

‘Ciao papà.’

Non ci riesci a parlare, un groppo enorme ti riempie la gola castrando qualsivoglia espressione di gioia tu potresti volere regalargli. Allarghi le braccia, a mo’ di invito, ma tuo figlio rifiuta in silenzio, frapponendo tra sé stesso ed il tuo corpo un pacchetto incartato male ma con grande impegno.
Lo scarti febbrilmente, ansioso di cogliere i segni della crescita del tuo bambino, della tua gioia, e quando ti rigiri un cartone di succo d’arancia tra le mani non capisci.

‘Tutti a menarsela col portarti delle arance.. Ho pensato che lo spremiagrumi non lo avresti trovato qui.’

Il suo candore ti intenerisce e ti gonfia d’orgoglio, la dimostrazione che il peggiore degli uomini possa dare vita al miracolo più bello potrebbe anche commuoverti.
Tu non la vedi, ma anche la guardia immobile e impassibile sulla porta soffoca un sorriso che tradisce l’apparente incapacità di provare sentimenti – allora un cuore lo ha anche lei!
Annuisci piano, flebilmente, azzardando un colpo di tosse che sembra più il lamento di un orso ferito. Taci di colpo, desiderando di avere almeno cambiato la tuta arancione che porta gli aloni di qualche sudata di troppo, inzaccherata da ogni tipo di cibo – se di ciò si può parlare – che ti sia mai stato servito in questo postaccio.

‘Cosa.. cosa ci fai qua?’

Non riesci a bofonchiare nient’altro, e il tuo tono basso e rauco spaventa persino te stesso. Lo vedi abbassare gli occhi, irrigidirsi e forse trattenere qualche lacrima.

‘E’ il mio compleanno, la mamma ha detto che potevo. E poi sono io l’uomo di casa adesso.’

Tua moglie. Anzi, la tua ex moglie.
E’ un capitolo che non brucia più così tanto; non come lui in ogni modo.
E’ deluso dalla tua reazione, e si vede; le tue mani stringono spasmodicamente il cartone di succo e i pollici vi affondano impietosamente contro, ammaccandolo con discrezione.

‘Adesso devo andare. Mi aspetta.’

Qualcosa si spezza, sai che ora lo hai perso davvero. Ti si avvicina lentamente, con circospezione, e la sua presenza sembra portare un po’ di luce nella stanza cupa, smorta, oltre che un irrigidimento dei muscoli alla guardia sulla porta.
Senti un palmo piccolo e fresco accarezzarti la guancia barbuta e bollente.
Senti una sorta di caldo languore allo stomaco – innamorato della vita che scappa?
Senti il sorriso ancora prima di vederlo sbocciare sulle sue labbra di rosa, complice e cospiratore.

Tanto lo so che non è stata colpa tua.’

E fugge via, timido come la brezza d’estate che tarderà altri tre mesi a rinfrescare il tuo sonno, perché oggi è l’Equinozio di Primavera.
Lei non ti ha incolpata almeno.

Primavera è per tutti.

venerdì 9 aprile 2010

.semantico.



Ascoltando Ever Dream, Nightwish
Mangiandomi.. le unghie.
Morendo per i miei pensieri.


Chiedimi chi sono,
chiedimelo te ne prego,
perché ora lo so
che questo lungo viaggio
mi ha reso degno
di essere chiamato uomo.

Dionigi, da 'Chiedimi chi sono' - A. Lavatelli e A. Vivarelli.



Semantico.

Sono nove lettere.
Sono nove,
dannatissime lettere.
Sono nove,
dannatissime,
tremendissime lettere.
Fanno male.
Ma vanno bene.
Una parola giallo canarino,
diciamo che con un po' di fantasia
è color
raggiodisole.
Sissignore.
Ci vuole un po' di sole in tanto buio,
anche se preferisco la pioggia.

Semantico.










Dialogo di una coscienza e della sua ospite.

Hai scoperto chi sei?
Dovevo?
Ma va'!
Allora no.
Complimenti.
Grazie.
Scherzavo.
Io no.
Davvero non sai chi sei?
No. E' così importante?
Solo se ti interessa saperlo.
Non mi interessa.
Perfetto.
Ma..
Ma cosa?
Mi interessa sapere chi voglio essere.
C'è differenza?
Dimmelo tu.
Non lo so.
Complimenti.
Grazie.
Scherzavo.
Io no.




giovedì 1 aprile 2010

A. M.

Quando le lacrime bruciano più del pepe negli occhi.
E' panico.
Parola di sabbia arsa dal calore del deserto,
ti asciuga la bocca,
ti lega le mani,
ti abbraccia i denti, insinuandosi tra loro
con infide macchinazioni.


Non guardare, disse,
ma lo feci lo stesso.

Uomo fatto di vento
rispose all’occhiata
dissipò i miei dubbi
increspando i pensieri
di emozioni d’aria

Era un pazzo,
ed era vestito di stelle.
Le aizzava ogni notte
al cielo di velluto blu
soffiandovi addosso la libertà

Dormi, sussurrava,
ma io sbirciavo la luna.

Morbido abbraccio di perle
addobbato, riempiva
gli occhi, ricco d’affetto.
Vidi sbocciare fiori di cristallo
a nascere lacrime d’argento.

Era una donna,
ed era una gemma del cielo
avea mille facce, brillanti
come un diamante,
e cantava parole segrete.



Buonanotte Orsacchio Felice.